Parigi, Opéra Bastille, “Ariane et Barbe-Bleu“ di Paul Dukas
Arianna nella gabbia di Barbablù
Ariane et Barbe-Bleu, l’unica opera lirica composta da Paul Dukas, è stata riproposta all’Opéra Bastille dopo una lunga assenza dal repertorio per festeggiare il centenario della prima esecuzione.
Opera “difficile “, con un intrigo praticamente inesistente, ma che colpisce, oltre per la valenza poetica del libretto, per la bellezza sonora dell’espressione musicale, una partitura sontuosa e ricca di cromatismi nella migliore tradizione francese, con grandi linee liriche vocali che ricordano Strauss e tracce wagneriane nella trama sinfonica continua, in cui si ravvisano suggestivi temi musicali quali il castello, la ricerca di Ariane, le cinque spose, Barbablù.
Più che una variazione, l’opera costituisce uno sviluppo della favola di Perrault, in quanto la storia intreccia il destino di Barbablù con quello di Arianna, salvifica eroina che, dopo aver aiutato Teseo a uscire dal labirinto, diventa l’ultima sposa di Barbablù con la missione di salvare le mogli prigioniere.
Il libretto dell’opera scritto da Maurice Maeterlinck è raffinato e di notevole valore letterario, ma l‘azione è simbolica, con un unico personaggio ben delineato e presenta limiti da un punto di vista propriamente drammatico .
Anna Viebrock, regista e scenografa di questa nuova e attesa produzione, non è riuscita a trovare un ‘idea forte per potenziare la componente scenica e drammatica, col risultato di uno spettacolo piuttosto noioso e ripetitivo.
La scena è unica, il castello è una gabbia “open space “ illuminata da luci al neon, in cui sono visibili sei stanze comunicanti arredate in modo diverso a seconda della sposa che le abita, separate da una struttura senza vetri che consente la completa visione dell’interno.
Ariane esplora una stanza dopo l’altra scoprendo tesori sempre più preziosi , ma allo spettatore viene negata ogni sorpresa in quanto fin dall’inizio si ha la visione simultanea delle stanze in cui si aggirano, appaiono e scompaiono le mogli di Barbablù.
Di lato un grande schermo verticale mostra per frammenti quello che si svolge nel palazzo, immagini verdastre di una telecamera a circuito chiuso o indizi color seppia da film noir . Ed è in queste immagini frammentarie e distorte, piuttosto che nella scena vera e propria, che emergono le angosce e la tensione proprie della partitura.
Ariane è un Poirot al femminile con tanto di nutrice -Miss Marple- al seguito, in impermeabile e cappello, con la macchina fotografica al collo , una super –eroina animata da buone intenzioni: svelare misteri e diffondere la “ sua” verità. Una volta liberato Barbe- Bleu e archiviato il caso, riprenderà il viaggio in cerca di nuove avventure.
Le docili mogli, in abiti eleganti e demodé, sono figure simboliche ed evanescenti che si spazzolano i capelli in modo incantatorio, differenziate solo dal nome: Mélisande, Sélysette, Ygraine, Bellangère, Alladine: tutti nomi derivati da opere di Maeterlinck. Le tristi spose preferiscono la sicurezza della prigionia alla libertà e quando vengono condotte da Ariane /novello Fidelio alla luce, impaurite ed esitanti, mettono le mani davanti agli occhi per non affrontare il mondo oltre la gabbia. L’invito di Ariane all’emancipazione femminile, supportato da una musica vibrante e trascinante, acquisisce portata filosofica ponendo il tema della paura della libertà e della scelta del limite.
In questo mondo claustrofobico le scene di massa (come la rivolta dei contadini contro Barbe-Bleu) si svolgono fuori scena, un assedio vocale simbolico dalle forti voci fuori campo con le mogli aggrappate alla griglia in ansia per la sorte dell’amato carnefice.
Buona la direzione di Sylvain Cambreling, particolarmente suggestiva nelle pagine sinfoniche, di cui restituisce la sensualità con giusto abbandono, riuscendo a ricreare un universo di colori, languori, angosce. Invece convince di meno quando gli accordi si fanno più dissonanti e prevalgono sonorità un po’ troppo fragorose.
Deborah Polasky è una Ariane, volitiva e senza esitazioni, che non ha paura di confrontarsi con i misteri degli eventi e dell’anima; la cantante ha forte presenza drammatica e appare coinvolta nel ruolo, la voce però alle prese con una tessitura molto varia e mutevole mostra qualche segno di stanchezza nella zona acuta.
Brava Julia Juon nella caratterizzazione della nutrice in bilico fra grettezza e paura .
Nonostante le poche battute previste dalla parte, è da segnalare Willard White, intenso Barbe-Bleu, prigioniero di sé stesso e del suo desiderio.
Applausi alla bellezza musicale dell’opera ed al piacere della riscoperta.
Visto a Parigi, Opéra Bastille, il 28 settembre 2007
Ilaria Bellini
Teatro